sabato 24 gennaio 2009

Lo star system


“Le stelle del cinema, quasi per definizione, esorbitano dai confini dei personaggi fittizi che interpretano. Essere una star significa essere riconosciuti all’interno e al di fuori di qualunque ruolo specifico” (Geoff King).

Ma lo “star system” esiste ancora?

Certamente lo star system caratterizzò l’epoca d’oro di Hollywood.
I fans sceglievano i film da andare a vedere chiedendosi: “Con chi è?”. Non importava chi l’avesse prodotto o diretto. E poi copiavano il modo di vestirsi, di pettinarsi, di muoversi dei loro idoli. La star è l’attore (più spesso l’attrice) “ri-creato”, modellato su misura dei desideri del pubblico, in modo da offrire a quest’ultimo quello che vuole e garantire ai produttori il ritorno dell’investimento intrapreso. “Bisogna arrivare agli anni Trenta -scrive Gian Piero Brunetta- per constatare come folle di neofiti di tutti i continenti si convertano ai comandamenti hollywoodiani. Le orbite del sistema divistico americano sono distribuite a immagine e somiglianza delle sfere celesti del sistema tolemaico. Hollywood appare come un gigantesco firmamento (-più stelle che in cielo- dice un famoso slogan della MGM) dove è difficile scegliere l’oggetto privilegiato: Greta Garbo o Marlene Dietrich, Janet Gaynor o Mirna Loy?”.

Spesso artisti famosi hanno confessato la loro dipendenza allo star system: Italo Calvino ha scritto “La mia epoca va pressappoco dai “Lancieri del Bengala” con Gary Cooper e “L’ammutinamento del Bounty” con Clark Gable, fino alla morte di Jean Harlow…, con in mezzo i giallo-rosa di Myrna Loy e William Powell, i musicals di Fred Astaire e Ginger Rogers… I nomi dei registi li avevo meno presenti… Il cinema americano in quel momento consisteva in un campionario di facce d’attori senza eguali né prima né poi”.

Ma “il sogno” perdura anche nel dopoguerra. Per rendersene conto basta ricordare una celebre pagina del romanzo autobiografico di Pasolini “Amado mio” in cui viene descritta la visione di “Gilda” in una sala all’aperto (l’immagine di Rita Hayworth giocò un ruolo talmente importante nella vita collettiva che Vittorio De Sica in “Ladri di biciclette” scelse di collegare il momento traumatico del furto a quello in cui il protagonista compie il suo primo gesto lavorativo, l’incollare su un muro un gigantesco manifesto di “Gilda”).

Gli anni Sessanta vedono la fine del divismo. Prima la star era visibile solo al cinema, ora con la televisione può essere nostra in qualsiasi momento: il fascino del mistero non esiste più. E’ cambiata la stampa: un tempo mostrare Greta Garbo che addenta un tramezzino in un bar era impensabile. Pochissimi erano quelli che potevano dire di aver visto di persona un divo o una diva: un mito di cui non bisognava spezzare l’incantesimo.

Fonti: Fantafilm, Storia in Network, Diletta Grella, Ferruccio Gattuso, Gian Piero Brunetta, Gli Spietati, CineOcchio

Pubblicato su Cineocchio

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